Completare il codice degli appalti per rilanciare le infrastrutture
Autore: Marco Panara
Fonte: Affari & Finanza
I lavori pubblici sono una delle grandi paludi d’Italia. Perché sono uno dei più pervasivi strumenti di corruzione e di infiltrazione della criminalità, perché i tempi di realizzazione sono lunghissimi e imprevedibili e perché i costi sono troppo spesso lontani dalle previsioni. Il risultato di tutto ciò è che l’Italia è in perenne ritardo nelle infrastrutture, che sono un fattore di competitività dell’economia e di qualità della vita dei cittadini, che il livello di manutenzione del patrimonio pubblico è indecente e che alla crescita manca un pezzo fondamentale, gli investimenti pubblici, che ha anche un moltiplicatore elevato sul Pil e un impatto rilevante sull’occupazione. Paradossalmente, nel paese che fa sempre fatica a chiudere i bilanci, il problema principale non solo i soldi.
I problemi principali sono la complessità dei processi decisionali ed esecutivi delle amministrazioni, resi tali anche per il doveroso obiettivo di eliminare la corruzione e, dall’altra, la perdita di professionalità nelle amministrazioni stesse. Molti ricordano con nostalgia l’autorevolezza e la severità degli ingegneri del Genio Civile, delle quali restano oggi solo sporadici esempi.
Il governo in carica ha deciso di prendere il toro per le corna, anche per riappropriarsi di uno strumento fondamentale di politica economica e di una leva per rilanciare lo sviluppo e l’occupazione. Giusta decisione, il problema è l’approccio. La tentazione è quella di percorrere la solita strada: le cose non vanno? Si fa una legge, si cambia la normativa, si ribaltano le riforme fatte negli ultimi anni e si ricomincia daccapo con la riforma “giusta”. L’esperienza ci dice che questa la strada non porta lontano, l’idea che un problema complesso si risolva con una nuova legge è antica, ingenua e opportunista: consente di annunciare la legge e se il problema resta lì con la sua cancrena pazienza.
Il settore è stato regolato nella primavera del 2016 dal nuovo Codice degli Appalti, che è una riforma profonda che adegua la normativa italiana alle direttive europee. Il nuovo codice non è perfetto, ma non è questo il suo problema, poiché le riforme per funzionare devono essere continuamente migliorate ed adeguate ai tempi e al confronto con la realtà. Il suo problema principale è che alla sua attuazione a quasi due anni e mezzo dal varo mancano ancora buona parte dei regolamenti.
Prima di pensare di cambiarlo sarebbe meglio applicarlo e migliorarlo nei punti che si sono rivelati oggettivamente problematici.
Le amministrazioni e le imprese ci hanno messo quasi due anni a digerire la nuova normativa, come testimonia il crollo del numero delle gare nel 2016 e nel 2017, ma ora la digestione è fatta e infatti tra gennaio e giugno del 2018 il numero dei bandi è aumentato del 27 per cento rispetto allo stesso periodo del 2017 e l’importo complessivo è cresciuto del 56 per cento da 8,9 a quasi 14 miliardi. La macchina ha ripreso a muoversi e sarebbe un errore madornale bloccarla ingolfandola con nuove norme. Un po’ di stabilità nelle regole è fondamentale per qualsiasi settore economico, tanto più per uno così complesso e delicato.
L’aumento dei bandi è un fatto positivo, ma perché diventi occupazione e Pil c’è una selva oscura da attraversare, che è perigliosa quanto il passaggio dalla conclusione del bando all’apertura dei cantieri. È in quella selva oscura che le speranze troppo spesso si consumano.
Le ragioni non sono tanto il contenzioso, il balletto dei ricorsi che è uno tra più praticati sport nazionali, che secondo gli ultimi dati incidono solo per il 3 per cento sull’avvio delle opere, quanto soprattutto l’inadeguata preparazione sociale, politica e amministrativa (nonostante i tempi lunghissimi che passano dal momento in cui un’opera viene deliberata e il bando di gara), e l’inadeguatezza dei progetti, in particolare dei progetti esecutivi, che quasi solo per le grandi opere vengono sottoposti a processi di validazione adeguati e indipendenti.
Allora, se hanno più a cuore i risultati che i proclami, le cose da fare sono completare l’attuazione del Codice degli Appalti e, pragmaticamente, creare un gruppo di lavoro che analizzi caso per caso gli appalti bloccati e i cantieri fermi per sciogliere i nodi e farli andare avanti. E, soprattutto, invece di rincorrere la distribuzione di risorse pubbliche per conquistare un facile consenso, utilizzarne un po’ per assumere un paio di migliaia di bravi ingegneri per riqualificare le amministrazioni. La riforma delle riforme sarebbe questa.